“Ué, ti ho sistemato la Norton, va che adesso suona come un violino! Ti ricordi ancora come si accende?”. Sì che me lo ricordo. È una serie di gesti che sono un corteggiamento, una liturgia meccanica. A lui, al mio meccanico (che se scrivo “vecchio” mi tira una chiave inglese), basta un’occhiata di traverso, massimo una scoreggina e la Commando si mette in moto da sola. È perché lo teme. Invece di me se ne approfitta, perché ne ho ancora un po’ di soggezione e se ci metto le mani sopra perde i pezzi per strada. Credo che succeda a molti altri che guidano una moto classica, una storia d’amore tumultuosa e condivisa.
Allora seguo l’unica tattica possibile. La corteggio. Un paio di fondocorsa tranquilli a motore spento, poi giro la chiavetta di accensione sul fianchetto sinistro. Apro i rubinetti (tutti e due) della benza, titillo i cicchetti finché i carburatori spruzzano – e qui ogni riferimento è puramente intenzionale. Una bella scalciata e la vecchia bagascia rossa prende vita, con un boato dagli scarichi cono e controcono completamente aperti. Aveva ragione lui, oggi la sento un violino. Seconda, terza, prende giri decisa, vibra di piacere ed eccitazione. Certo che l’Autodromo è a due passi, quasi quasi…
Già, perché no? Bicilindrica, settemmezzo, raffreddata ad aria: a regolamento ci starebbe. E nonostante i quasi cinquant’anni, la Commando ha un tiro in allungo che levati. Su tante altre cose meglio lasciar perdere, meglio esser gentiluomini, ma quando si apre in rettilineo c’è da godere. Godere tanto, godere grosso. Vecchia, dite? Classica se mai. Ha la stessa consistenza analogica e il suono pieno di un vinile di british rock da 180 grammi. La Norton è del 69, l’anno in cui gli Who incisero Tommy. Disco doppio che a un certo volume fa ancora sentire vivi, tremare le finestre, incazzare i vicini. Eh sì, quasi quasi la iscrivo alla Sprint Race…